Ricorso ex art.  127  Cost.  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale
dello Stato, presso i cui uffici domicilia  in  Roma,  alla  via  dei
Portoghesi n. 12, 
    Contro la Regione Veneto, in persona del Presidente della  Giunta
Regionale in carica, con sede in Venezia, Sestiere Dorsoduro, 3901; 
    Per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  degli
articoli 2, commi 2 e 3; art. 3; art. 8, comma 2, lett. g); art.  11,
comma 5; art. 12, comma 4 e dell'art. 32, comma 1,  lett.  c),  della
legge Regione Veneto 16 marzo 2018, n. 13, intitolata «Norme  per  la
disciplina  dell'attivita'  di  cava»,  pubblicata   nel   Bollettino
Ufficiale della  Regione  Veneto  n.  27,  del  16  marzo  2018,  per
violazione dell'art. 117, primo comma  e  secondo  comma,  lett.  s),
della Costituzione, in riferimento al decreto legislativo n. 152  del
2006 (articoli 6, comma 6, 7-bis, comma 3, 19, 27-bis, 183, comma  1,
lett. a), 184-bis, 184-ter e Allegato IV), alla legge n. 241 del 1990
(art. 14, comma 4), nonche' alla legge n. 296 del 2006 (art. 1, comma
1226) e al decreto del Presidente della Repubblica n.  357  del  1997
(articoli 4 e 6 ) e al decreto ministeriale 17 ottobre 2007 (art. 5). 
    E cio' a seguito  ed  in  forza  della  delibera  di  impugnativa
assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta dell'8 maggio 2018. 
 
                                Fatto 
 
    La legge Regione Veneto 16 marzo 2018, n. 13,  intitolata  «Norme
per la disciplina dell'attivita' di cava» e pubblicata nel Bollettino
Ufficiale della Regione Veneto n. 27, del  16  marzo  2018,  dispone,
all'art. 2, comma 2, che «La coltivazione comprende l'estrazione  del
materiale del giacimento, l'eventuale prima lavorazione dei materiali
estratti, la gestione dei materiali equiparabili  a  quelli  di  cava
derivanti da scavi per la realizzazione di opere pubbliche e  private
e la ricomposizione ambientale della  cava»,  al  comma  3,  che  «La
coltivazione dei giacimenti di materiale di cava  e'  subordinata  al
rilascio dell'autorizzazione all'attivita' di cava». 
    All'art.  3,  la  legge  regionale  in  esame  prevede  che   «Ai
miglioramenti  fondiari  con  volume   di   materiale   di   risulta,
industrialmente utilizzabile, superiore a 5.000 metri cubi per ettaro
di superficie di  scavo,  si  applichi  la  disciplina  prevista  per
l'attivita'  di  cava.  La  Giunta  regionale,   entro   365   giorni
dall'entrata in  vigore  della  presente  legge,  fissa  procedure  e
criteri per l'autorizzazione dei miglioramenti fondiari con volume di
materiale di risulta, industrialmente utilizzabile, inferiore a 5.000
metri cubi  per  ettaro,  escludendo  in  ogni  caso  interventi  che
interessino la falda freatica. A tale fattispecie si applica il comma
2, dell'art. 19. Nella pianificazione dell'attivita' di cava si tiene
conto  anche  dei  volumi  di   materiale   estratto   e   utilizzato
industrialmente, proveniente dai miglioramenti fondiari». 
    La legge regionale in esame prevede, inoltre, all'art.  8,  comma
2, lett. g), che «Il progetto di coltivazione, redatto in conformita'
alla  disciplina  vigente  e  tenendo  conto   delle   finalita'   di
salvaguardia ambientale,  deve  essere  sottoscritto  da  un  tecnico
professionista  abilitato  e  deve   contenere:   la   documentazione
costituente esito della procedura di  cui  alla  legge  regionale  18
febbraio 2016, n.  4  "Disposizioni  in  materia  di  Valutazione  di
Impatto Ambientale e  di  competenze  in  materia  di  autorizzazione
integrata ambientale" e successive modificazioni». 
    - L'art. 11, comma 5, della predetta legge  regionale,  altresi',
stabilisce che «l'autorizzazione  costituisce  titolo  unico  per  la
coltivazione del giacimento e tiene  luogo  di  ogni  altro  atto  di
autorizzazione,  nulla  osta  o  assenso  comunque   denominato   per
l'esercizio  della  attivita'  di  cava  previsto   dalla   normativa
vigente». 
    - All'art. 12, comma 4, della legge regionale e' previsto che «La
proroga   dei   termini   stabiliti   dall'autorizzazione,   motivata
dall'utilizzo  nel  ciclo  produttivo   della   cava   di   materiali
equiparabili  ai  materiali  di   cava   e   provenienti   da   opere
infrastrutturali  d'interesse   regionale   con   movimentazione   di
materiale per volumi superiori a 500.000 mc,  non  e'  soggetta  alle
limitazioni di cui al comma 3». 
    Inoltre, la legge regionale in esame, all'art. 32, comma 1, lett.
c) dispone che «all'interno del Parco  regionale  dei  Colli  Euganei
(...) possono essere autorizzate, anche a titolo  di  sperimentazione
operativa, attivita' di cava per l'estrazione di trachite, in  deroga
alle limitazioni  contenute  nel  Piano  Ambientale  e  nel  Progetto
Tematico Cave, nel rispetto», tra  le  altre,  della  condizione  che
«l'intervento proposto si configuri come modifica e/o ampliamento  di
cave in attivita' alla data di emanazione del decreto ministeriale 17
ottobre 2007 «Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di
conservazione relative a Zone speciali di  conservazione  (ZSC)  e  a
Zone di protezione  speciale  (ZPS)»  e  sul  progetto  si  esprimano
favorevolmente il comune territorialmente interessato e l'Ente  Parco
Colli Euganei. 
    Le  disposizioni  della  legge   regionale   summenzionate   sono
costituzionalmente illegittime e, giusta determinazione  assunta  dal
Consiglio  dei  ministri  nella  seduta  dell'8  maggio  2018,   sono
impugnate per i seguenti 
 
                          Motivi di diritto 
 
1) - Illegittimita' costituzionale degli articoli 2, commi 2 e  3,  e
3, della  legge  Regione  Veneto  n.  13  del  2018,  per  violazione
dell'art.  117,  secondo  comma  lett.  s)  della  costituzione,   in
riferimento al decreto legislativo n. 152/2006 e in  particolare  del
combinato disposto degli articoli 183, comma 1, lett. a),  184-bis  e
184-ter. 
    L'art. 2 della legge  regionale  in  esame,  come  si  e'  detto,
dispone quanto segue: 
      «1. - Ai fini della presente legge, costituiscono attivita'  di
cava i lavori di coltivazione dei giacimenti  formati  da  materiali,
industrialmente utilizzabili, classificati di seconda  categoria  dal
terzo comma dell'art. 2 del regio decreto 29  luglio  1927,  n.  1443
«Norme di carattere legislativo per  disciplinare  la  ricerca  e  la
coltivazione delle miniere nel Regno» e successive modificazioni; 
      2. - La coltivazione comprende l'estrazione del  materiale  del
giacimento, l'eventuale prima lavorazione dei materiali estratti,  la
gestione dei materiali equiparabili a quelli  di  cava  derivanti  da
scavi per  la  realizzazione  di  opere  pubbliche  e  private  e  la
ricomposizione ambientale della cava; 
      3. - La coltivazione dei giacimenti di  materiale  di  cava  e'
subordinata al rilascio dell'autorizzazione all'attivita' di cava». 
    Il  comma  2  appena  riportato,  come  si  vede,  definisce   la
«coltivazione» in modo tale da ricomprendervi anche «la gestione  dei
materiali equiparabili a quelli di cava derivanti  da  scavi  per  la
realizzazione di  opere  pubbliche  e  private  e  la  ricomposizione
ambientale della cava», mentre il comma 3  subordina  l'attivita'  di
coltivazione,   cosi'   definita,   esclusivamente    «al    rilascio
dell'autorizzazione all'attivita' di cava». 
    Orbene, le richiamate norme presentano profili di  illegittimita'
costituzionale. 
    In  particolare,  si  deve  evidenziare  come  la  gestione   dei
materiali da scavo sia sottoposta alla disciplina dettata dalla Parte
IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, trattandosi di rifiuti ai
sensi dell'art. 183, comma 1, lett. a), a meno che non sussistano  le
condizioni di cui all'art. 184-bis, comma 1, del decreto  legislativo
n. 152 del 2006, e del decreto del Presidente della Repubblica n. 120
del 2017, adottato in attuazione dell'art. 8 del decreto-legge n. 133
del 2014, perche' i residui in questione possano  essere  considerati
"sottoprodotti". Acquisita la qualifica  di  rifiuto,  del  resto,  i
residui  in  questione  possono   perderla   soltanto   per   effetto
dell'applicazione dell'istituto di cui all'art. 184-ter  del  decreto
legislativo n. 152 del 2006, c.d. «fine rifiuto» (end of waste). 
    In tale prospettiva, giova rilevare  come  costituisca  principio
reiteratamente affermato nella giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte
quello per cui la disciplina dello smaltimento delle terre e rocce da
scavo interviene in materia di  legislazione  statale  esclusiva,  ai
sensi dell'art. 117, comma secondo, lettera s) della costituzione. 
    Difatti, codesta Ecc.ma Corte ha avuto  modo  di  affermare  piu'
volte che «la disciplina delle procedure  per  lo  smaltimento  delle
rocce e  terre  da  scavo  attiene  al  trattamento  dei  residui  di
produzione ed e' percio' da ascriversi alla  "tutela  dell'ambiente",
affidata in via esclusiva  alle  competenze  dello  Stato,  affinche'
siano garantiti livelli di tutela uniformi  su  tutto  il  territorio
nazionale». Pertanto, «in materia di smaltimento delle rocce e  terre
da scavo  non  residua  alcuna  competenza  -  neppure  di  carattere
suppletivo e cedevole - in capo alle Regioni e alle Province autonome
in vista della  semplificazione  delle  procedure  da  applicarsi  ai
cantieri di piccole dimensioni» (cosi' la sentenza n. 269  del  2014;
nello stesso senso, sentenze nn. 232 del 2014; n. 70 del 2014; n. 300
del 2013). 
    Di conseguenza, atteso che l'art. 2, comma 2  e  3,  della  legge
regionale impugnata mira a sottrarre la  gestione  dei  materiali  da
scavo dalla disciplina dei rifiuti dettata  dal  legislatore  statale
con il decreto legislativo 152 del 2006 senza che  ne  sussistano  le
condizioni, risulta evidente  come  tale  disposizione  si  ponga  in
palese contrasto con la competenza esclusiva statale di cui  all'art.
117, secondo comma, lett. s), della costituzione. 
    Peraltro, occorre sottolineare come le medesime censure  in  tema
di illegittimita' costituzionale  riguardino  l'art.  3  della  legge
regionale citata. 
    - L'art. 3 della legge della Regione Veneto n.  13  del  2018  in
esame prevede che «ai miglioramenti fondiari con volume di  materiale
di risulta, industrialmente utilizzabile,  superiore  a  5.000  metri
cubi per ettaro di superficie di  scavo,  si  applica  la  disciplina
prevista per l'attivita' di cava». Tale disposizione, nella misura in
cui estende all'attivita' dei miglioramenti fondiari con materiale di
risulta la disciplina dell'attivita' di cava, determina un effetto di
«sottrazione» della prima dalla disciplina  dei  rifiuti  identico  a
quello sopra evidenziato. 
    Infine, anche il successivo comma 2  e'  gravato  dalle  medesime
ragioni di illegittimita' costituzionale. Tale  disposizione  prevede
che «la Giunta regionale, entro 365  giorni  dall'entrata  in  vigore
della presente legge, fissa procedure e criteri per  l'autorizzazione
dei miglioramenti  fondiari  con  volume  di  materiale  di  risulta,
industrialmente  utilizzabile,  inferiore  a  5.000  metri  cubi  per
ettaro, escludendo in ogni caso interventi che interessino  la  falda
freatica». Anche tale disposizione, prefigurando un  sistema  che  si
suppone semplificato rispetto quello concernente alle  attivita'  che
riguardano volumetrie maggiori, determina l'effetto di  sottrarre  la
gestione dei materiali suddetti dalla disciplina dei rifiuti. 
    Difatti, i materiali derivanti da costruzione e demolizione (c.d.
materiali di risulta)  sono  espressamente  elencati  dall'art.  184,
comma 3, lett. b) del decreto legislativo n. 152/2006 nell'ambito dei
rifiuti speciali. 
    In tale ottica, atteso che  secondo  la  costante  giurisprudenza
costituzionale la disciplina della gestione dei rifiuti rientra nella
materia della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, riservata  alla
competenza esclusiva dello Stato (ex multis, Corte  cost.,  sent.  n.
154/2016; Corte cost., sent.  n.  101/2016),  l'art.  3  della  legge
Regione Veneto n. 13/2018 si pone in manifesto contrasto  con  l'art.
117, comma secondo, lett. s), della costituzione. 
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 8, comma  2,  lett.  g),
della legge Regione Veneto n. 13 del 2018, per  violazione  dell'art.
117, secondo  comma  lett.  s)  della  costituzione,  in  riferimento
dell'art. 27-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006. 
    - L'art. 8, comma 2, lett. g), della  legge  regionale  in  esame
stabilisce che «Il progetto di coltivazione, redatto  in  conformita'
alla  disciplina  vigente  e  tenendo  conto   delle   finalita'   di
salvaguardia ambientale,  deve  essere  sottoscritto  da  un  tecnico
professionista  abilitato  e  deve   contenere:   la   documentazione
costituente esito della procedura di  cui  alla  legge  regionale  18
febbraio 2016, n.  4  "Disposizioni  in  materia  di  Valutazione  di
Impatto Ambientale e  di  competenze  in  materia  di  autorizzazione
integrata ambientale" e successive modificazioni». 
    Anche  tale  disposizione  presenta  profili  di   illegittimita'
costituzionale. 
    Nello specifico, si deve  rilevare  come  la  citata  norma,  pur
presentandosi come generica, farebbe presupporre che la procedura  di
VIA  sia  stata  gia'  espletata  prima  dell'autorizzazione  e   che
rappresenti quindi una procedura propedeutica, antecedente e distinta
dall'autorizzazione. 
    In tale prospettiva, occorre evidenziare come la norma  regionale
venga a porsi in contrasto con quanto previsto dal comma 7  dell'art.
27-bis del citato decreto legislativo n. 152/2006, in base  al  quale
«la  determinazione  motivata  di  conclusione  della  conferenza  di
servizi costituisce il provvedimento autorizzatorio unico regionale e
comprende il provvedimento di VIA e i titoli  abilitativi  rilasciati
per  la  realizzazione  e   l'esercizio   del   progetto,   recandone
l'indicazione esplicita. Resta fermo che la decisione di concedere  i
titoli abilitativi di cui al periodo precedente e' assunta sulla base
del provvedimento di VIA, adottato in conformita' all'art. 25,  commi
1, 3, 4, 5 e 6, del presente decreto». 
    Orbene,   come   noto,   secondo   il    costante    orientamento
giurisprudenziale di codesta Ecc.ma Corte costituzionale, «la materia
che viene in rilievo  nella  normativa  sulla  valutazione  d'impatto
ambientale  e'  quella  della  tutela  dell'ambiente,  di  competenza
esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera
s), Cost.» (ex multis, sentenze  nn.  667/2010,  1/2010,  234/2009  e
225/2009). 
    Di conseguenza, l'art. 8, comma 2, lett. g), della legge  Regione
Veneto n. 13/2018, discostandosi da quanto previsto  dalla  normativa
statale in materia di valutazione di impatto ambientale, viola l'art.
117, comma 2, lett. s) della  costituzione  e,  dunque,  deve  essere
dichiarato illegittimo. 
3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 5, della legge
Regione Veneto n. 13 del 2018, per violazione dell'art. 117,  secondo
comma lett. s) della costituzione, in riferimento all'art. 27-bis del
decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'art. 14,  comma  4,  della
legge n. 241 del 1990. 
    - L'art. 11, comma 5, dispone che  «l'autorizzazione  costituisce
titolo unico per la coltivazione del giacimento e tiene luogo di ogni
altro  atto  di  autorizzazione,  nulla  osta  o   assenso   comunque
denominato per l'esercizio della attivita'  di  cava  previsto  dalla
normativa vigente». 
    Anche  tale  disposizione  presenta  aspetti  di   illegittimita'
costituzionale. 
    In particolare, la  descritta  norma,  nella  misura  in  cui  si
applica alle attivita' di cava  soggette  a  valutazione  di  impatto
ambientale (VIA) e riguarda anche quest'ultima, si pone in  contrasto
con le previsioni  del  sopracitato  comma  7  dell'art.  27-bis  del
decreto  legislativo  n.  152/2006,  in  base   al   quale:   a)   il
provvedimento  autorizzatorio  unico  regionale   che   conclude   il
procedimento  di  VIA  regionale  rappresenta  l'autorizzazione  alla
realizzazione e  all'esercizio  del  progetto;  b)  la  decisione  di
concedere il titolo abilitativo deve essere assunta  sulla  base  del
provvedimento di VIA. 
    Peraltro, quanto previsto  dall'art.  27-bis  risulta  confermato
anche dall'art. 14, comma 4,  della  legge  n.  241  del  1990  (come
modificato dal decreto legislativo n. 104 del 2017), il quale prevede
che «Qualora un progetto sia  sottoposto  a  valutazione  di  impatto
ambientale di competenza regionale, tutte le autorizzazioni,  intese,
concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque
denominati, necessari alla realizzazione e all'esercizio del medesimo
progetto, vengono acquisiti nell'ambito  di  apposita  conferenza  di
servizi, convocata in modalita' sincrona ai sensi  dell'art.  14-ter,
secondo quanto previsto dall'art. 27-bis del  decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152». 
    Ebbene, risulta evidente come l'art. 11,  comma  5,  della  legge
Regione Veneto  n.  13  del  2018,  ponendosi  in  contrasto  con  la
normativa dettata dal legislatore statale in  materia  di  VIA  -  la
quale,  come  sopra  ricordato,  viene  ricondotta  alla   competenza
esclusiva statale - viola l'art. 117, comma secondo, lett.  s)  della
Costituzione. 
4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 4, della legge
Regione Veneto n. 13 del 2018, per violazione  dell'art.  117,  primo
comma e secondo comma lett. s)  della  costituzione,  in  riferimento
agli articoli 6, comma 6, 7-bis, comma 3, e 19, nonche' dell'Allegato
IV, del decreto legislativo n. 152 del 2006. 
    - L'art. 12, comma 4,  della  legge  regionale  dispone  che  «La
proroga   dei   termini   stabiliti   dall'autorizzazione,   motivata
dall'utilizzo  nel  ciclo  produttivo   della   cava   di   materiali
equiparabili  ai  materiali  di   cava   e   provenienti   da   opere
infrastrutturali  d'interesse   regionale   con   movimentazione   di
materiale per volumi superiori a 500.000 mc,  non  e'  soggetta  alle
limitazioni di cui al comma 3». 
    Tale previsione si palesa come costituzionalmente illegittima. 
    Nello  specifico,  si  deve   evidenziare   come   la   descritta
disposizione regionale, introducendo una fattispecie di proroga  sine
die dei termini stabiliti dall'autorizzazione alla coltivazione della
cava, stabilisca una posticipazione della durata  dell'autorizzazione
all'attivita' di cava per un tempo  che,  non  essendo  assolutamente
determinato ne' determinabile, non puo'  non  ritenersi  incongruo  e
irragionevole. 
    Datti, in ogni  rapporto  di  durata  si  pone  come  inevitabile
l'esigenza di  un  controllo  ad  tempus  circa  il  permanere  delle
condizioni, soggettive ed oggettive, di legittimazione,  in  rapporto
al  (possibile)  mutamento  del  quadro  fattuale  e  normativo   nel
frattempo intervenuto. 
    Invece, la norma regionale impugnata prevede  una  disciplina  di
eccezionale prorogatio destinata a surrogare, ex  lege  ed  in  forma
automatica, i controlli tipici  dei  procedimenti  amministrativi  di
rinnovo delle autorizzazioni alla coltivazione delle cave. 
    Sul  punto,   giova   ricordare   come   codesta   Ecc.ma   Corte
costituzionale abbia avuto  modo  di  affermare  che  «Attraverso  la
previsione di un meccanismo legale che si limita, nella sostanza,  ad
introdurre  una  "proroga   di   diritto"   per   le   autorizzazioni
all'esercizio di cave rilasciate dal Distretto minerario, la delibera
legislativa impugnata si sostituisce al provvedimento  amministrativo
di  rinnovo,  eludendo,  quindi,  non  soltanto  l'osservanza   della
relativa  procedura  gia'  normativamente  prevista,  ma  anche  -  e
soprattutto - le garanzie sostanziali che quel procedimento  mira  ad
assicurare, nel  rispetto  degli  ambiti  di  competenza  legislativa
stabiliti dalla costituzione (sul  punto,  la  sentenza  n.  271  del
2008).  Garanzie  che,  nella  specie,   riposano,   appunto,   sulla
necessita' di  verificare  se  l'attivita'  estrattiva  a  suo  tempo
assentita risulti ancora aderente allo stato di fatto  e  di  diritto
esistente  al  momento  della   "Proroga"   o   del   "rinnovo"   del
provvedimento di autorizzazione», con la conseguenza che «eludere  in
via legislativa  la  prevista  procedura  amministrativa  di  rinnovo
equivarrebbe a rinunciare al controllo amministrativo  dei  requisiti
che, medio tempore, potrebbero essersi  modificati  o  essere  venuti
meno, con  esclusione,  peraltro,  di  qualsiasi  sindacato  in  sede
giurisdizionale comune» (Corte cost., sent. n. 67/2010). 
    Peraltro, codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha rammentato come,
in materia di autorizzazioni «postume», la Corte di giustizia europea
appaia ispirata a criteri particolarmente rigorosi (sentenza 3 luglio
2008, procedimento C-215/06), avendo  ribadito  che,  «a  livello  di
processo decisionale e' necessario che l'autorita'  competente  tenga
conto il prima possibile delle eventuali ripercussioni  sull'ambiente
di tutti i processi tecnici di programmazione e  di  decisione,  dato
che l'obiettivo consiste nell'evitare fin dall'inizio inquinamenti ed
altre perturbazioni, piuttosto che  nel  combatterne  successivamente
gli effetti». 
    Ebbene, si  deve  sottolineare  come  tale  esigenza  risulti  di
difficile coesistenza con un sistema - come quello configurato  dalla
norma regionale in esame  -  che,  alla  scadenza  del  provvedimento
autorizzatorio, in luogo di  una  «nuova»  autorizzazione  (o  di  un
«rinnovo»  della  precedente),  sostituisce  ex  lege  la  perdurante
validita' del vecchio titolo, senza possibilita' di verificare se,  a
causa dell'esercizio della relativa (e  legittima)  attivita',  possa
essersi cagionato o meno un danno per l'ambiente. 
    Difatti, risulta evidente come la proroga  di  cui  all'art.  12,
comma 4 della legge  Regione  Veneto  n.  13  del  2018  consenta  in
particolare di eludere la necessita' di procedere alla  effettuazione
di una nuova verifica di  assoggettabilita'  a  VIA,  che  invece  e'
necessaria per le attivita' di cava,  come  sancito  dal  legislatore
statale in base al combinato disposto  degli  articoli  6,  comma  6,
7-bis, comma 3, e 19 del decreto legislativo n. 152 del 2006, nonche'
in base alla  lett.  i)  dell'Allegato  IV  alla  Parte  seconda  del
medesimo. 
    Per tali motivi, l'art. 12, comma  4  della  legge  regionale  in
esame, ponendosi in contrasto con la normativa  nazionale  vigente  e
con  i  principi  comunitari  di  settore  -  come  declinati   dalla
summenzionata sentenza della Corte di Giustizia -  viola  l'art.  117
Cost., primo  comma,  che  impone  alla  Regione  il  rispetto  degli
obblighi comunitari, nonche' il comma 2, lett. s), ai sensi del quale
lo  Stato  ha  legislazione   esclusiva   in   materia   di   «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema». 
5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 1,  lett.  c),
della legge Regione Veneto n. 13 del 2018, per  violazione  dell'art.
117, secondo  comma  lett.  s)  della  costituzione,  in  riferimento
all'art. 1, comma 1226, della legge n. 296 del 2006, agli articoli  4
e 6 del decreto del Presidente della Repubblica n.  357  del  1997  e
all'art. 5 del decreto ministeriale 17 ottobre 2007  (Criteri  minimi
uniformi per la definizione di misure  di  conservazione  relative  a
Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione  speciale
(ZPS)). 
    - L'art. 32, rubricato «Disposizione in materia  di  coltivazioni
di trachite nel Parco dei Colli Euganei», prevede,  al  primo  comma,
che «all'interno del Parco regionale dei Colli Euganei (...)  possono
essere autorizzate, anche  a  titolo  di  sperimentazione  operativa,
attivita' di cava  per  l'estrazione  di  trachite,  in  deroga  alle
limitazioni contenute nel Piano Ambientale e  nel  Progetto  Tematico
Cave,  nel  rispetto»,  tra  le  altre,  della  seguente   condizione
stabilita dalla  lett.  c),  ovvero  che  «l'intervento  proposto  si
configuri come modifica e/o ampliamento di  cave  in  attivita'  alla
data di emanazione del decreto ministeriale 17 ottobre 2007  "Criteri
minimi  uniformi  per  la  definizione  di  misure  di  conservazione
relative  a  Zone  speciali  di  conservazione  (ZSC)  e  a  Zone  di
protezione speciale (ZPS)" e sul progetto si esprimano favorevolmente
il Comune territorialmente interessato e l'Ente Parco Colli Euganei». 
    Tale previsione si presenta in evidente contrasto con il seguente
quadro normativo di origine statale. 
    In primo luogo, assumono particolare rilievo gli articoli 4  e  6
del decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997, concernenti
le  misure  di  conservazione  e  le  zone  di  protezione   speciale
nell'ambito dell'attuazione delle  misure  previste  dalla  direttiva
92/43/CEE  «Habitat»  relativa  alla  conservazione   degli   habitat
naturali e seminaturali e della flora e della  fauna  selvatiche,  ai
fini della salvaguardia della biodiversita'. 
    Successivamente, proprio in tema di misure di conservazione e  di
zone di protezione speciale, e' intervenuto  l'art.  1,  comma  1226,
della legge n. 296 del 2006, ai sensi del quale «Al fine di prevenire
ulteriori procedure di infrazione, le regioni e le province  autonome
di Trento e di Bolzano devono provvedere  agli  adempimenti  previsti
dagli articoli 4 e 6 del regolamento di cui al decreto del Presidente
della  Repubblica  8   settembre   1997,   n.   357,   e   successive
modificazioni, o al loro completamento, entro tre mesi dalla data  di
entrata in vigore della presente legge, sulla base di criteri  minimi
uniformi definiti con apposito decreto del Ministro  dell'ambiente  e
della tutela del territorio e del mare». 
    Quest'ultima disposizione veniva,  infine,  attuata  dal  decreto
ministeriale 17 ottobre 2007, contenente i «Criteri  minimi  uniformi
per la  definizione  di  misure  di  conservazione  relative  a  Zone
speciali di conservazione (ZSC)  e  a  Zone  di  protezione  speciale
(ZPS)» (Gazzetta Ufficiale 6 novembre 2007, n. 258). 
    Nello specifico, l'art. 5, lett. n), di tale decreto ministeriale
ha  vietato  l'«apertura  di  nuove  cave  e  ampliamento  di  quelle
esistenti,  ad  eccezione  di  quelle  previste  negli  strumenti  di
pianificazione generali e di settore vigenti alla data di  emanazione
del presente atto o  che  verranno  approvati  entro  il  periodo  di
transizione, prevedendo altresi' che il recupero  finale  delle  aree
interessate  dall'attivita'  estrattiva   sia   realizzato   a   fini
naturalistici  e  a  condizione  che  sia  conseguita   la   positiva
valutazione di incidenza dei singoli progetti ovvero degli  strumenti
di   pianificazione   generali   e   di   settore   di    riferimento
dell'intervento; in via  transitoria,  per  18  mesi  dalla  data  di
emanazione  del  presente  atto,   in   carenza   di   strumenti   di
pianificazione o nelle more di valutazione d'incidenza dei  medesimi,
e' consentito l'ampliamento delle cave in atto, a condizione che  sia
conseguita la positiva valutazione d'incidenza dei singoli  progetti,
fermo restando  l'obbligo  di  recupero  finale  delle  aree  a  fini
naturalistici; sono fatti salvi i progetti di cava gia' sottoposti  a
procedura di valutazione d'incidenza, in conformita'  agli  strumenti
di pianificazione vigenti e  sempreche'  l'attivita'  estrattiva  sia
stata orientata a fini naturalistici». 
    Ebbene, nonostante il prescritto divieto,  l'art.  32,  comma  1,
lett. c) della legge regionale impugnata garantisce  la  possibilita'
generica di modifica e/o ampliamento di cave esistenti al momento  di
emanazione del decreto ministeriale «Criteri Minimi», senza in  alcun
modo limitare tale possibilita' secondo quanto invece  imposto  dalla
norma nazionale. 
    In tale prospettiva, tenuto in debita considerazione il fatto che
le norme del summenzionato decreto sono state stabilite  dallo  Stato
nell'esercizio della  propria  competenza  esclusiva  in  materia  di
«tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», risulta  evidente  come  la
descritta disposizione regionale violi  l'art.  117,  comma  secondo,
lett. s) della costituzione.